In Italia lo troverete solo con un’etichetta che riporta la seguente frase “bevanda analcolica a base di mosto d’uva vinificato e successivamente dealcolizzato”. Questo perchè nel nostro paese la pratica della dealcolizzazione del vino è vietata, nonostante non se ne possa vietare la commercializzazione.
Ma di cosa stiamo parlando esattamente? La dealcolizzazione è un processo di estrazione delicatissimo che consiste sostanzialmente nel far evaporare l’alcol presente in un vino pur mantenendone gli aromi.
All’estero il vino analcolico è un prodotto giovane – ha circa dieci anni – ma già molto stabile sul mercato. Sono moltissime, infatti, le aziende già produttrici di vino “vero” che hanno deciso di intraprendere questa strada introducendosi così a nuovi mercati, come quello di chi non può fare uso di alcol per motivi di salute, e aumentando le proprie esportazioni verso i paesi arabi e la Cina.
Perchè, allora, in Italia questa pratica è vietata? La questione di apre su diverse argomentazioni tra cui quella più tradizionalista: il processo di dealcolizzazione stravolge l’essenza stessa del vino che è per definizione alcolico. Sostanzialmente, quindi, non si può chiamare “vino” una bevanda che non ne abbia i presupposti. La motivazione è dunque quella di preservare l’integrità dei prodotti e per questo, come era già successo per altri prodotti alimentari, la produzione non è permessa all’interno del nostro territorio.
Parlando poi dei celebri benefici cardiovascolari del vino, essi derivano in stragrande maggioranza dal suo contenuto di alcol – gli stessi benefici, infatti, si sono osservati anche con l’assunzione di altre bevande alcoliche e non dagli antiossidanti tanto decantati dai sostenitori della bevanda analcolica.
In ultimo e non certo per importanza c’è la questione dell’alterazione del sapore provocata proprio dall’operazione di dealcolizzazione: solo superando questo ostacolo l’Italia potrà pensare ad un’apertura verso questo prodotto che ad oggi sembra davvero troppo acerbo.
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