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LIFESTYLE

L’intervista all’agronomo Fabrizio Salto tratta da “Semiramide a Milano: i giardini pensili e il verde verticale”

 

Orticoltura di città e spazio urbano, essenze verdi e progetto, tecniche per il verde pensile e modalità di coltura: con Fabrizio Salto, dottore agronomo, docente in diverse facoltà e istituti privati, abbiamo toccato le principali tematiche da affrontare quando si realizza un giardino pensile.

1. L’orticoltura è associata sempre più spesso ai contesti urbani. Milano, per esempio, ha visto una vera e propria “esplosione” di orti condivisi. L’interesse per questo argomento è crescente nell’opinione pubblica. Quali benefici l’orticoltura urbana porta alla qualità della vita di una grande città? L’orticoltura urbana può essere anche realizzata su terrazzi e pareti verticali?

Milano da sempre ispira familiari tendenze alla produzione casalinga di “verzura” sui balconi, nei cortili, nelle pieghe nascoste dei palazzi, ma negli ultimi anni sicuramente l’organizzazione tipica del luogo ha stimolato il recupero di aree che sono diventate zone ad alta efficienza in termini di stile di vita, nate a volte senza un preciso progetto, ma sempre impostate su sani criteri di economicità. La gente sta assimilando il concetto di pulito, che sia nell’aria, che sia nelle strade e che sia ovviamente nel cibo che consuma, e si avvicina in piccole masse ai mercati di smistamento nati qua e là in comodato a strutture organiche di semplici cittadini, dove non resta nulla di avanzato a fine giornata. Ma lo spirito di conquista può arrivare sui tetti, si, sui lastrici solari improduttivi che a Milano contano almeno una ventina di ettari. Certo non siamo a Roma dove l’80% dei tetti è costituito da superfici piane, ma la città può recuperare spazi nascosti lassù dove, come dimostrano prove ambientali, le polveri sottili non arrivano, occupando infatti la fascia di 6-8 metri a ridosso del piano stradale.

2. Qual è l’elemento più difficile da valutare nell’ambito dei progetti di orticoltura da terrazzo? Quali sono i fattori limitanti?

Lo spazio, la luce, e poi l’organizzazione generale, l’avviamento, il progetto quindi. Ogni caso va esplorato ed analizzato in termini di “business plan” che è un termine complesso ma che facilmente avvicina al concetto di “convenienza”, dove nella voce “utile di esercizio” inseriamo valori astratti ma di grande praticità come quelli inseriti nel “benessere sociale”.

Se il nostro spazio è una risorsa, in questo caso limitata, dobbiamo ottimizzare le attività che vi confluiscono secondo un Piano dettato da diverse priorità: se la destinazione è l’orto familiare o condominiale si possono mettere in fila le azioni e le reazioni, i costi e i benefici, le criticità e le rivalorizzazioni. E provare per credere affidandosi alle molte organizzazioni cittadine già in armate da alcuni anni di scarponcini, badili, piantine e tanta voglia di rendersi utili a sé stessi in modo diverso, come fanno i 700 milioni di persone sparse nel mondo che si prendono cura di un orto(FAO, 2005)

3. Quali sono le specie maggiormente adatte a questo tipo di progetti? Perchè?

Il Piano colturale prevede un avvidendamento di frutta e verdura selezionate per la loro diffusione sulla nostra tavola, per la facilità di coltivo, per la stagione climatica, con tecnica di produzione a “letto profondo”, e con discreta competività economica.

Scartiamo patate e cipolle per la loro lenta maturazione e per la loro ampia disponibilità a basso prezzo sul mercato. La scelta è ristretta alle coltivazioni più agevoli, per questo motivo anche il cavolfiore è escluso.

Le colture di base facenti parte della dieta alimentare italiana, facili ed agevoli da coltivare sono sedano, broccoli, cavoli, melanzane, insalate, cetrioli, carote, piselli, spinaci, bietole, pomodori, porri, zucchine. E poi fragole e frutti di bosco, tutto a rispetto di quanto stabilito dalla Royal Horticultural Society che indica una produzione su un’ area di 10 mq sufficiente a garantire l’apporto nutrizionale autosufficiente a una famiglia di 3 persone, 5 giorni la settimana, per tutto l’anno.

4. La gestione ordinaria che linee guida deve seguire? Un orto può essere sostenibile anche a centinai metri di altezza?

Si ritiene che un palazzo di 8 piani a 30 metri di altezza possa garantire un ambiente più sano che a piano terra, dove il movimento d’aria è inferiore e l’inquinamento si deposita più facilmente. Non serve portare in quota tonnellate di terra ma vasi in plastica, tubi in PVC per irrigazione a goccia, substrati leggeri contenenti torbe, perlite, e altre componenti che abbassano fino a 0,5 il peso specifico del coltivo, dove tutto porta a sommare non più di 150 kg/mq. Gli attrezzi da lavoro sono manuali e quindi silenziosi, convenienti e poco ingombranti.

I consumi idrici sono contenuti, senza contare che un orto sul tetto di casa filtra, consuma e quindi riduce l’acqua metereologica che cade al suolo, con minori infilitrazioni nelle strutture.

Sono disponibili progetti, come quello di Ecospheris, che comprendono disegno grafico, considerazioni di carattere “ambientale”, conto economico, piano colturale, piano di investimento, produttività del sistema, e anche finanziamento dell’operazione.

5. Ci descriva brevemente un caso studio…

Si tratta di un ritorno all’antico in chiave moderna. La realizzazione di un ortogiardino – area produttiva di rilevanza economica – su terrazzi/lastrici solari piani inutilizzati consente di ottenere produzioni biologiche a filiera extra corta e controllata, con prodotto sempre fresco, di grandi qualità organolettiche, quasi sconosciute a molti, perché raccolto a maturazione.

Uno stabile con un lastrico solare di circa 500 mq, regolare anche se con servitù di varia natura come camini, cabine elettriche, antenne, cablaggi vari, può destinare circa 300 mq alla produzione orticola, sufficiente a “sfamare”, nel concetto prima riferito, una trentina di famiglie. Questo è un pensiero teorico che può avvicinarsi alla realtà se si terrà conto di alcuni dettagli di carattere organizzativo dettati da un impulso primario che è quello dato dalle persone. Solo questo potrà vincere gli ostacoli mentali di un classico condominio abituato alle solite conflittuali assemblee, dove possa prevalere un obbiettivo comune, di un orto che abbia funzione educativa, evasiva, socializzante, terapica, meditativa, aggregativa, ricreativa e di riappropriazione. Che possa dare vita a nuove occupazioni, che valorizzi l’edificio anche in termini di sostenibilità ambientale e che offra un senso di appartenza a un gruppo che produce qualcosa in proprio secondo metodi naturali, riappropriandosi di piaceri perduti come godere di un orto-giardino e contemplare colori e odori sempre in divenire.

L’intervista è stata tratta dalla pubblicazione “Semiramide a Milano: i giardini pensili e il verde verticale” realizzata da Missione Architetto e sfogliabile online.

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La redazione di Greenservice.it By


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