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Plastisfera e inquinamento da plastica: conseguenze e alternative possibili

 

La plastica ha invaso i nostri ecosistemi: dopo la terra, ora si trova in abbondanza anche nei mari. I dati riportati dall’ultimo Forum Economico Mondiale che si è svolto a Davos, in Svizzera, parlano di otto milioni di tonnellate di plastica riversata negli oceani ogni anno.

Tutta questa plastica in acqua è brutta da vedere e danneggia gravemente l’ecosistema marino. I piccoli pezzi di plastica vengono ingeriti involontariamente, o scambiati per cibo, da pesci e uccelli marini. Una volta che un pesce inghiotte un pezzo di questo materiale, non è in grado di digerirlo. Poi, il pesce grande mangia il pesce piccolo e porta avanti il fenomeno del bioaccumulo. Quando noi mangiamo un bel pesce e chiudiamo la catena alimentare, le sostanze nocive che arrivano fino a noi sono amplificate dalla lunghezza della catena alimentare stessa.

Secondo l’associazione Sea Shepherd Australia, 18.000 pezzi di plastica galleggiano su ogni chilometro quadrato di oceano. Il 44% dei mammiferi marini, l’86% delle tartarughe marine e il 90% degli uccelli marini hanno della plastica nel loro intestino. Senza contare quanti di questi animali muoiono perché restano impigliati nei sacchetti o soffocati da grossi frammenti di questo materiale.

Le bottiglie d’acqua sono ritenute le più inquinanti tra gli oggetti usa e getta in plastica. La plastica che finisce negli oceani, in presenza di particolari correnti di vento e di mare, tende a formare delle vere e proprie isole di spazzatura. Ne è un esempio il Pacific Trash Vortex, noto anche col nome di Great Pacific Garbage Patch, un’isola di plastica galleggiante, nata negli Anni Cinquanta, oggi contenente circa tre milioni di tonnellate di plastica.

L’accumulo e la persistenza della plastica negli oceani ha creato una nuova nicchia ecologica che gli scienziati hanno chiamato “plastisfera”. Ricercatori della Woods Hole Oceanografic Institution hanno scoperto l’esistenza di microrganismi in grado di vivere solo su pezzi di plastica galleggiante negli oceani (alcuni di questi sono nocivi per gli animali e per l’uomo), batteri di dimensioni inferiori ai cinque millimetri. Non solo, se un animale ingerisce un pezzo di plastica contenente batteri resistenti e poi lo espelle con gli escrementi, i batteri stessi risultano “rafforzati” dall’essere venuti a contatto con gli enzimi digestivi dell’animale.

Ma qualcosa sta cambiando. È di pochi giorni fa la notizia che la città di San Francisco, negli Stati Uniti d’America, ha vietato la vendita delle bottiglie di plastica contenenti acqua nelle aree pubbliche e comunali, incoraggiando allo stesso tempo il consumo di acqua di rubinetto. Un bel passo avanti se si considera che negli U.S.A. solamente il 23% della plastica viene riciclato correttamente. Anche dall’Europa, esempi incoraggianti. Il Comune della città di Amburgo, in Germania, non utilizzerà più le bottiglie d’acqua in plastica, e i cittadini saranno incentivati a munirsi di borraccia e prelevare acqua potabile dalle numerose fontane presenti in città.

Quindi, quando possibile, preferiamo l’acqua del rubinetto e utilizziamo borracce e contenitori riutilizzabili: meno plastica prodotta, minor spese di riciclo e meno inquinamento di mari e oceani.

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Sabrina Lorenzoni By


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