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ORTO IN TERRAZZO

Guida alla coltivazione del radicchio bio

 

Il radicchio – che altro non è se non una cicoria a foglia colorata – è utilizzato da secoli, anzi millenni! Già gli antichi greci e romani lo apprezzavano e gli attribuivano proprietà sia depurative sia calmanti, utili quindi nei confronti dei disturbi del sonno. Gli egizi, invece, lo consigliavano per purificare il sangue. Per molto tempo venne coltivato come cibo dei poveri e, solo in tempi recenti, come è avvenuto per molte altre colture, è tornato alla ribalta. Nel sedicesimo secolo era coltivato su larga scala in tutta Italia e, in particolare, nel Veneto dove ancora oggi sono prodotte alcune tra le più rinomate varietà. Il radicchio, al pari di tutte le cicorie da cespo, richiede cure colturali molto attente: concimazioni moderate, irrigazioni accorte, pacciamatura, protezione dal freddo e, se puntiamo a una produzione “da professionisti”, occorre approfondire la particolare tecnica dell’imbianchimento, fondamentale per migliorare l’aspetto e il sapore dei cespi.

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Le principali varietà di radicchio

Esistono numerose varietà di radicchio, alcune molto conosciute, altre con una diffusione limitata a pochi centri. In linea di massima, possiamo dire che esistono tre grandi gruppi: il radicchio rosso con foglia di colore rosso intenso, il radicchio variegato che presenta le caratteristiche foglie verde chiaro striate di rosso e il radicchio bianco. Inoltre, ogni gruppo comprende varietà che possono essere distinte a seconda del periodo di raccolta: abbiamo così radicchi precoci (che si raccolgono nel periodo tardo autunnale) e radicchi tardivi (che si raccolgono in pieno inverno). Le due classi, inoltre, si distinguono anche per il loro sapore: i radicchi precoci, infatti, sono caratterizzati da un sapore più dolce, mentre quelli tardivi hanno il tipico retrogusto amaro.

Le varietà più diffuse sono sicuramente quelle appartenenti ai gruppi del radicchio rosso e del radicchio variegato. Tra queste la più rinomata è probabilmente ‘Rosso di Treviso’, la cui peculiarità è il cespo di forma allungata; si tratta di una delle varietà più apprezzate dal mercato la cui coltivazione è però complessa perché non può prescindere dall’operazione di imbianchimento di cui diremo più avanti.

Un’altra varietà molto conosciuta è ‘Rosso di Chioggia’, radicchio con una testa tonda e compatta, con foglie tenere, ottime in insalata. Questa varietà affronta il freddo senza timori ma teme il gelo intenso, motivo per cui è bene coprire le piante con un tessuto non tessuto.

Simile al precedente è la varietà ‘Rosso di Verona’ (avrete capito che la fantasia non è il punto forte di chi pratica la selezione orticolturale). Il ‘Rosso di Verona’ è simile al radicchio di Chioggia ma presenta una testa di forma ovaleggiante.

Tra il gruppo dei radicchi variegati troviamo il ‘Variegato di Chioggia’ (di nuovo!): con foglie verdi e gialle screziate di rosso non passa certo inosservato sui banchi del mercato. Resiste molto bene al freddo e si raccoglie entro 90-110 giorni dal momento del trapianto. C’è poi il ‘Variegato di Lusia’, molto simile a quello di Chioggia ma più precoce (di circa un mese).

Tra le varietà più diffuse ricordiamo anche ‘Variegato di Castelfranco’: i cespi non sono molto compatti ma, in compenso, le foglie sono molto croccanti. Queste ultime sono di colore bianco-crema screziato di rosso e, come nel caso del ‘Rosso di Treviso’, è necessario ricorrere alla tecnica dell’imbianchimento per esaltare aspetto e sapore: si tratta quindi di una varietà adatta agli orticoltori più esperti.

Il trapianto del radicchio

Le varietà di radicchio disponibili sul mercato, anche limitandosi a quelle facilmente reperibili nei garden centre per appassionati, sono veramente molte! Come sempre, il consiglio è di scegliere quella più adatta alle peculiarità agroclimatiche della zona nella quale si vive. In questo modo la pianta crescerà più robusta e sana, riducendo le probabilità che sia vittima di attacchi di patogeni e parassiti. La scelta della varietà più adatta è dettata anche dalle caratteristiche proprie dell’orto di cui si dispone: tessitura, struttura ed esposizione sono fattori che possono modificare sensibilmente l’ambiente di crescita degli ortaggi e devono essere vagliate con attenzione per evitare di intervenire con agrofarmaci.

Se vogliamo portare il radicchio sulle nostre tavole per un lungo periodo di tempo dobbiamo ricorrere a trapianti scalari e a varietà diverse. In linea di massima, entro le prime due o tre settimane di settembre è possibile trapiantare varietà come il ‘Radicchio di Chioggia’ tardivo o il ‘Radicchio di Castelfranco’ con distanze sulla fila e tra le file di circa 30 o 40 centimetri. Un po’ più fitto, invece, può essere il sesto di impianto delle varietà ‘Radicchio di Treviso’ tardivo e ‘Radicchio di Verona’: senza esagerare, lasceremo la distanza tra le file invariata a 30 o 40 centimetri, ma stringeremo la distanza sulla fila fino a 25 centimetri. Sino alla fine di settembre potremo invece trapiantare il ‘Radicchio di Verona’ per le produzioni più tardive. La distanza tra le file è ovviamente indicativa e, come per tutte le colture a file, deve essere dettata più che altro da motivazioni di praticità: la distanza ideale, infatti, è poco superiore alla larghezza dell’attrezzo utilizzato per il controllo delle malerbe.

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La concimazione del radicchio

Il radicchio non ha grandi esigenze di azoto. Se l’orto è gestito in modo ottimale, con un buon piano di rotazione e apporti di sostanza organica adeguati, non è necessario procedere ad apporti di azoto. Anzi, un eccesso di questo elemento – ma può avvenire solo in caso di concimazioni minerali errate – può portare a un accumulo di nitrati nelle foglie, non certo consigliabili per le nostre insalate. Anche per questo motivo, chi volesse “spingere” la coltura deve applicare le ultime concimazioni di copertura prima che l’ortaggio inizi il suo ultimo mese di sviluppo e solo se la vegetazione appare stentata o la crescita particolarmente rallentata.

Il radicchio è invece un grande consumatore di potassio ma difficilmente è necessario intervenire con concimazioni mirate, per lo meno negli orti amatoriali, perché i terreni italiani sono mediamente ricchi di questo elemento della fertilità.

L’irrigazione del radicchio

Il radicchio per la raccolta autunno-invernale – che viene quindi trapiantato al termine dell’estate – richiede ben pochi interventi irrigui. Il clima fresco e tendenzialmente umido di questo periodo è infatti più che adatto per i fabbisogni dell’ortaggio. È tuttavia importante un’adacquatura immediatamente dopo il trapianto in modo da facilitare l’attecchimento. Nel caso in cui l’autunno si presentasse particolarmente siccitoso, sarà necessario proseguire con irrigazioni cadenzate, variabili anche in funzione delle caratteristiche del terreno, in modo tale da mantenere il terreno umido sino a circa 10 centimetri di profondità. Da evitare in tutti i casi i ristagni idrici che favoriscono l’insorgenza di marciumi deleteri per la produzione. Negli orti amatoriali è consigliabile l’uso di un sistema di irrigazione localizzata con microirrigatori oppure con tubi forati (manichette); in alternativa, se non ci si vuole cimentare con la costruzione di un impianto, si può ricorrere all’irrigazione a solchi, questi ultimi da realizzare tra una fila e l’altra.

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La pacciamatura del radicchio

La pacciamatura è una pratica – non molto utilizzata negli orti amatoriali – che può dare ampi vantaggi all’orticoltore. In primo luogo, permette di ridurre il lavoro necessario per la lotta alle infestanti; in secondo luogo evita il contatto delle foglie con il terreno e riduce così la probabilità che si sviluppino marciumi. Inoltre, nel caso delle colture di radicchio tardivo – quelle che si trapiantano in settembre – la pacciamatura in materiale plastico di colore scuro favorisce il riscaldamento del terreno e, quindi, aiuta gli ortaggi a sopportare meglio le basse temperature. Oltre al materiale plastico (che può essere riutilizzato per molti anni) è possibile ricorrere all’uso di paglia o altri materiali organici. La pacciamatura offre anche il grande vantaggio di contrastare il compattamento del terreno a opera dell’azione battente della pioggia, un aspetto tanto importante quanto trascurato. Una terza possibilità per pacciamare il radicchio è offerta dai teli in materiale biodegradabile, generalmente a base di amido di mais: è una soluzione abbastanza costosa ma che offre il vantaggio di non dover raccogliere il classico telo plastico di pacciamatura al termine della stagione dal momento che il telo si degrada nell’arco di 3 o 4 mesi, giusto in tempo per raccogliere il prodotto.

Se si adotta la pacciamatura, però, occorre prestare attenzione al sistema di irrigazione. Soprattutto se si usano i teli scuri, infatti, è buona norma ricorrere all’impiego di manichette da lasciare correre al di sotto del telo.

La protezione del radicchio dal freddo

Vero è che il radicchio è una coltura adatta ai freddi autunnali e invernali ma… meglio non esagerare, soprattutto nelle regioni dell’Italia settentrionale e, in ogni caso, nelle zone di collina e montagna. Per evitare danni da gelo, ma anche per prolungare la stagione colturale, è quindi importante proteggere i radicchi realizzando piccoli tunnel di un’altezza di circa 80 cm e di una larghezza pari a circa 3 o 4 file di ortaggi (quindi circa un metro). È indispensabile che i tunnel siano aperti sui lati per favorire un rapido e continuo ricambio di aria, utile per non esporre le piante all’attacco di patogeni. Un’alternativa economica ai tunnel è quella di coprire le piante con un tessuto non tessuto (il telo in questo caso poggerà direttamente sulle piante).

La protezione dal freddo non potrà essere totale. Non spaventiamoci quindi se le foglie più esterne possono apparire danneggiate: una volta eliminate, il cespo interno sarà perfettamente integro.

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L’imbianchimento del radicchio

Diciamolo subito: esistono varietà cosiddette autoimbiancanti, caratterizzate da un cespo molto compatto che favorisce automaticamente l’imbianchimento dell’ortaggio. Questo, da una parte, riduce i rischi di marciumi per le varietà – come il ‘Radicchio di Verona’ – che richiedono la legatura delle foglie e, dall’altra, non mette a dura prova la pazienza degli orticoltori amatoriali che cercano di cimentarsi con questa tecnica.

In ogni caso, il “vero” radicchio di Treviso subisce un processo di imbianchimento molto complesso, della durata di un mese circa, e che prende il via solo dopo che la pianta ha subito almeno un paio di brinate. I radicchi devono essere tolti dal terreno mantenendo una radice lunga circa 15 centimetri e quindi riuniti in mazzi. Questi, dopo un breve periodo di stazionamento all’interno di tunnel arieggiati, sono posti in vasche di cemento dove scorre acqua a circa 11°C. In questa fase è importante che le foglie dell’ortaggio non entrino mai in contatto con l’acqua. Dopo circa tre settimane, i radicchi sono spostati in un ambiente più caldo (a circa 18-20°C) e poco illuminato e posizionati in un substrato sabbioso. Dopo 4 o 5 giorni di permanenza in queste condizioni, i radicchi hanno assunto le caratteristiche organolettiche uniche che tutti apprezziamo e sono quindi estratti dal substrato. Spuntata la radice ed eliminate le foglie più esterne, i preziosi cespi sono finalmente pronti per le nostre tavole.

Le avversità del radicchio

Può sembrare quasi paradossale ma una delle avversità più temibili del radicchio è rappresentata dalle gelate: se troppo persistenti possono rovinare il raccolto.

Tra le avversità biotiche – ossia provocate da patogeni – quella più diffusa è certamente l’oidio. Il mal bianco si manifesta sotto forma di macchie bianche polverulente che attaccano le foglie e ne provocano l’ingiallimento prima e il disseccamento poi. È favorita da temperature miti e da livelli elevati di umidità. Per quanto riguarda la difesa biologica è importante intervenire tempestivamente ai primi segni di malattia con prodotti a base di zolfo. Inoltre è bene sapere che con temperature inferiori ai 10°C il patogeno perde gran parte delle proprie caratteristiche offensive.

Un’altra malattia, ben più temibile, è il cosiddetto marciume del colletto. Questo è causato da diversi patogeni fungini che, di norma al termine del ciclo colturale, si manifestano sotto forma di micelio fungino al colletto e provocano l’appassimento delle foglie, nonché l’imbrunimento del colletto e dell’apparato radicale. In questi casi, è importante sospendere la coltivazione dei radicchi (e delle lattughe) nelle aiuole interessate per un periodo di 4 anni.

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Raccolta e conservazione del radicchio

In un orto amatoriale, in linea di massima, si possono ottenere circa 2 o 3 chilogrammi di radicchio per ogni metro quadrato coltivato.

Le piante di radicchio sono pronte per la raccolta quando il cespo è ben serrato, ossia quando non cede alla pressione delle dita. La raccolta deve essere effettuata recidendo l’intero cespo pochi centimetri al di sotto del piano di campagna in modo da conservare tutte le foglie. Al momento del consumo si toglieranno le foglie più esterne, di solito rovinate dal freddo.

Se al momento della raccolta le temperature sono ancora miti, è consigliabile procedere nelle prime ore della giornata e tenere i cespi al riparo in luogo fresco, magari avvolte in un panno bagnato: in questo modo si conserveranno croccanti per qualche giorno.

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Luca Masotto By


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