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ORTO IN TERRAZZO

Che cos’è la permacultura?

 

La permacultura nell’orto

Permacultura era un termine molto in voga sino a qualche anno fa. Poi, vuoi per l’avvento dell’agricoltura biologica o per i profondi cambiamenti avvenuti nelle campagne e nella consapevolezza di agricoltori e consumatori, la popolarità della permacultura è diminuita sino a quasi cadere nell’oblio. Ma cosa significa esattamente permacultura?

La permacultura è un sistema di produzione agricola che cerca di riprodurre le complesse interrelazioni che esistono in natura tra terreno, sostanza organica, piante e animali al fine di produrre cibo, fibre ed energia in abbondanza. Il tutto per soddisfare soprattutto i bisogni locali. Insomma, la permacultura può essere vista come una forma di produzione a kilometro zero ante litteram! In realtà, la permacultura ha assunto poi una vena più filosofica andando ad abbracciare molti altri aspetti della vita umana tra i quali la sostenibillità energetica degli edifici.

In ogni caso, storicamente, l’obiettivo principale della permacultura è sempre stato quello di progettare e gestire sistemi agricoli sostenibili dal punto di vista ambientale.

Questa pratica è molto ben adattabile ai nostri orti, che possono essere inquadrati come piccoli sistemi dove è importante trovare un equilibrio tra le piante da coltivare, le esigenze della famiglia che gestisce l’orto, il terreno – visto come organismo vivente e dinamico – e, perché no, i patogeni e i parassiti. Questi ultimi, infatti, non devono essere visti come elementi estranei al nostro appezzamento. Al contrario, si tratta spesso di ospiti che possono convivere senza problemi con i nostri ortaggi, a patto di non superare una soglia che provocherebbe la perdita dei raccolti. Sì, perché la permacultura è innanzitutto un approccio etico alla produzione che vuole prendersi cura del benessere delle persone ma anche della terra, la quale deve essere gestita oculatamente affinché possa dare frutti in abbondanza non solo a noi – come tende a fare l’agricoltura di rapina – ma anche alle prossime generazioni.

Impariamo a osservare

Un primo passo, forse il principale, per intraprendere un percorso permaculturale nel nostro orto è quello di imparare a osservare. Produrre in modo sostenibile, infatti, non significa abbandonare le tecniche moderne e rifugiarsi nel passato bensì adottare tutti gli accorgimenti – tradizionali e nuovi – che possono garantire maggiori raccolti nel rispetto dell’ambiente. Il tutto deve essere calato nel contesto di riferimento: non ha molto senso introdurre tecniche o modalità di coltivazione dall’esterno senza prima averne valutato l’efficacia per il nostro appezzamento.

Alcuni esempi chiariranno l’approccio della permacultura: irrigare a solchi può andare bene in terreni argillosi dove le perdite di acqua sono limitate e la cosiddetta efficienza irrigua elevata; al contrario in terreni molto sciolti sarà bene adottare sistemi di irrigazioni più efficienti, quali, per esempio, l’irrigazione localizzata con microirrigatori o quella con ali gocciolanti. Allo stesso modo le lavorazioni del terreno sono fondamentali per chi lavora in piena terra, mentre assumono un ruolo molto marginale per chi coltiva gli ortaggi in contenitore. Se il nostro terreno è di per sé ricco di sostanze nutritive, non avremo bisogno di apportare fertilizzanti dall’esterno, soprattutto se seguiamo con attenzione le rotazioni in maniera da evitare una eccessiva perdita di nutrienti e una buona fissazione dell’azoto da parte delle leguminose. In altri termini: non esistono verità assolute, tutte le tecniche e tutti gli accorgimenti sono validi… purché funzionino!

Non sprechiamo le energie

Un secondo aspetto molto importante della permacultura risiede nella riduzione degli input energetici per la produzione di alimenti. L’agricoltura professionale spesso fa ampio uso di combustibili fossili e di concimi derivati dal petrolio che, se da una parte aumentano la produttività di breve periodo, dall’altra rendono il processo produttivo energivoro e poco amico dell’ambiente. Lo stesso problema, talvolta, lo si ha nell’orto di casa: quante volte nei vivai vedo orticoltori amatoriali acquistare grandi sacchi di concime utilizzati in modo indiscriminato – e magari senza la benché minima necessità – per aumentare il raccolto di pomodori o per avere una lattuga più verde e sviluppata.

Questa prassi è diffusa a causa della tendenza della mente umana a semplificare i fenomeni naturali. Le conseguenze di questo riduzionismo, però, non si sono fatte attendere: nei decenni successivi all’ingresso massiccio di fertilizzanti di sintesi, molti terreni si sono fortemente impoveriti di sostanza organica e, oltre a vedere ridotto il loro potenziale produttivo, hanno iniziato a essere maggiormente soggetti a fenomeni di erosione. Inoltre, un tenore limitato di sostanza organica non permette ai suoli di sostenere una comunità ricca e differenziata di insetti, lombrichi e altri piccoli animali tanto invisibili quanto fondamentali per l’ecosistema orto.

Quale rimedio per tutto questo? Gestire bene la sostanza organica, incorporando al terreno i residui delle colture precedenti oppure trasformandoli in un buon compost da utilizzare per migliorare la fertilità chimica, fisica e microbiologica del suolo. Così facendo, il quantitativo di humus nel terreno aumenterà progressivamente e faciliterà il compito alle radici delle piante che potranno approfondirsi senza sforzo e assorbire i nutrienti liberati dalla mineralizzazione della sostanza organica. Un suolo ben strutturato, inoltre, rende più agevole l’infiltrazione e il drenaggio dell’acqua piovana, riducendo i ristagni e, quindi, gli stress radicali dovuti all’assenza di ossigeno nel terreno. Da non trascurare anche il fatto che in un suolo ben areato le malattie fungine si diffondono con minore facilità e gli esiti sono di norma meno gravi. Anche in campo orticolo, prevenire è meglio che curare.

Un altro modo per non sprecare le energie è quello di utilizzare serbatoi per il recupero dell’acqua piovana. Raccogliere l’acqua di pioggia presenta diversi vantaggi: non solo evita che si utilizzi acqua potabile per irrigare l’orto, ma consente di ridurre il carico di acqua che raggiunge il sistema fognario urbano durante i fenomeni piovosi. Pensiamo a quale grande vantaggio per le nostre città se tutta l’acqua di pioggia fosse conservata temporaneamente in tante piccole vasche di accumulo private e utilizzata nel tempo per irrigare orti, giardini e frutteti: le famigerate bombe d’acqua sarebbero in buona parte trattenute da questo sistema di raccolta diffuso e non assisteremmo più alla trasformazione di strade in fiumi o alla presenza di torrenti per le vie del centro.

Produciamo con soddisfazione

Certo chi è abituato a spargere manciate di “palline” colorate di concime al momento della semina o del trapianto potrebbe entrare in difficoltà: va bene ridurre le energie impiegate, va bene garantire a figli e nipoti un terreno in buona salute ma, oggi, il mio raccolto sarà sufficiente? La risposta è sì, soprattutto su piccolissima scala. Chi coltiva l’orto per sé e per la propria famiglia può ottenere produzioni di tutto rispetto anche senza concimi di sintesi. Anche se si hanno a disposizione terreni molto poveri, l’aggiunta progressiva e costante di sostanza organica – di origine animale o vegetale – è un vero toccasana per l’orto. Nell’arco di poche stagioni vegetative, anche un terreno quasi inerte può dare risultati più che soddisfacenti: i lombrichi si moltiplicheranno e areranno il terreno per noi, distribuendo i nutrienti lungo il profilo e scavando gallerie utili al ricambio dell’aria tellurica. In piccolo possiamo quindi realizzare quanto teorizzato dai padri della permacultura che suggerivano di utilizzare maiali e polli per arare e affinare il terreno prima della semina.

Dobbiamo poi avere l’accortezza di introdurre un sistema di rotazione efficiente caratterizzato da piante che hanno esigenze nutritive e caratteristiche morfologiche variegate: gli strati di suolo esplorati dalle radici saranno differenti ogni anno così come diversi saranno gli elementi nutritivi asportati o fissati nel terreno.

Evitiamo gli scarti

Può sembrare incredibile eppure sono molti (e ingombranti) gli scarti prodotti in un orto. Spesso nei centri di raccolta dei rifiuti si vedono persone scaricare grandi sacchi di residui di potatura, di sfalci del prato oppure di piante da orto estirpate a fine stagione.

Si tratta di uno spreco poco sostenibile: si buttano via grandi quantità di nutrienti e di sostanza organica che gli anni successivi avrebbero aiutato a produrre frutti abbondanti. La stessa legna dei residui di potatura può essere riutilizzata come legna da ardere (o per le grigliate estive) oppure come tutore per le specie da orto rampicanti.

È sufficiente organizzarsi con una piccola compostiera: le si trovano già pronte nei centri per il giardinaggio, ma possono essere anche costruite in casa. In questo modo, via via che saranno prodotti, i residui vegetali potranno essere inseriti nella porzione superiore del contenitore, mentre nella parte basale potremo prelevare il compost prodotto naturalmente. Se abbiamo spazio a sufficienza possiamo evitare di utilizzare una compostiera e realizzare piccoli cumuli, lunghi e stretti, di residui vegetali che dovremo avere l’accortezza di rimescolare periodicamente: il rimescolamento è fondamentale per evitare l’instaurarsi di fenomeni putrefattivi in luogo di quelli ossidativi. Per essere sicuri che tutto proceda per il meglio è sufficiente annusare il cumulo: se durante il compostaggio non si avvertono cattivi odori, il processo di formazione del compost è regolare.

Nulla vieta, inoltre, di usare gli scarti di orto e giardino tal quali come forma di pacciamatura per ridurre la competizione delle infestanti. Un’altra possibile alternativa è quella di incorporare i materiali di risulta direttamente nel terreno, avendo l’accortezza di lasciarli disidratare all’aria in modo che non marciscano una volta interrati.

Esaltiamo la biodiversità

Via un’erbaccia, via l’altra, nell’orto di solito vogliamo vedere solamente le piante che portano frutto. Sicuramente un quantitativo eccessivo di malerbe porta alla riduzione del raccolto, ma la lotta a questi ospiti indesiderati non deve diventare un’ossessione. È bene infatti parlare di contenimento delle malerbe: in quantità limitate, queste non provocano alcun danno. Nel caso si abbia un piccolo frutteto la presenza di aree inerbite tra i filari è anzi auspicabile perché possono contribuire ai cicli degli elementi nutritivi nei vari orizzonti del suolo, senza contare il fatto che un terreno inerbito resiste meglio al calpestio e all’erosione superficiale.

La vegetazione spontanea, soprattutto per chi ha l’orto in aree rurali, è spesso vista come ricettacolo di insetti parassiti e patogeni: verissimo, ma è altrettanto vero che nelle stesse erbacce e negli stessi arbusti si rifugiano anche moltissimi organismi utili, nemici naturali di quelli che provocano danni nel nostro orto.

Ma la biodiversità che si intende qui è anche quella interna all’orto. È sempre bene coltivare specie diverse di ortaggi, evitando di avere troppi ortaggi della stessa famiglia a breve distanza tra loro (il caso tipico è quello delle solanacee, grande famiglia che racchiude pomodori, peperone, melanzane e patate). È altrettanto positivo riscoprire il valore delle rotazioni e delle consociazioni, grazie alle quali si producono raccolti più abbondanti e diversificati nel corso dell’anno, con grande vantaggio anche della varietà del cibo che portiamo sulle nostre tavole.

Un orto biodiverso è un orto in equilibrio ecologico con l’ambiente circostante, il modo migliore, più semplice e più economico per limitare i danni di funghi e insetti.

Una rete che condivide

Un risvolto sociale della permacultura consiste nello stimolare la collaborazione tra le persone. Spesso negli orti nascono rivalità – più o meno sane – tra vicini, gare per chi vede spuntare il primo fiore di pomodoro o maturare la prima fragola. Ma gli orti di maggiore successo sono quelli dove i conduttori mettono in condivisione le loro conoscenze e le capacità acquisite nel tempo, dove ci si scambia semi, piantine e altri materiali, dove il surplus di raccolto viene distribuito tra amici e parenti. Questa fitta rete di collaborazioni è fondamentale per rendere la produzione più sostenibile e per ridurre gli sprechi: molti attrezzi potranno essere condivisi, piccole spese ripartite su più persone, piccole consulenze – magari poco convenienti per un singolo orticoltore amatoriale – potranno essere usufruite senza difficoltà da un gruppo numeroso di orticoltori.

La curiosità e l’apertura mentale che accompagnano la permacultura sollecitano l’adozione di tecniche nuove e di nuove colture. Colture e tecniche che daranno frutti o che forse dovranno essere abbandonate una volta comprovata la loro scarsa efficacia. Resta il fatto che un approccio partecipato è senza dubbio più stimolante dell’iniziativa di un singolo che, magari, sarebbe portato ad arrendersi alle prime difficoltà.

Gli orti sono quindi uno strumento potente di convivialità, uno stimolo alla socialità e al bene comune. Non è un caso, infatti, se gli orti sono sempre più spesso inseriti nei complessi condominiali e negli spazi aperti adiacenti a grandi aziende private. Non solo in piena terra ma anche sfruttando le tante coperture piane inutilizzare che costellano le nostre città e che possono essere facilmente riadattate a veri e propri orti pensili.

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Luca Masotto By


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