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ORTO IN TERRAZZO

Guida alle rotazioni nell’orto

 

Le rotazioni nell’antichità

Esiodo, poeta greco attivo tra l’ottavo e il settimo secolo avanti Cristo, nobilitò il lavoro manuale e, in particolare, si soffermò sull’agricoltura dal momento che egli stesso, nonostante la sua professione “intellettuale”, era agricoltore: nel suo poema “Opere e giorni” dispensò numerosi e ampi consigli per ottenere ottimi raccolti. Lo stesso fecero, in area romana, Catone, Columella e Varrone con numerosi scritti che, tra l’altro, diedero grande importanza agli avvicendamenti colturali. Virgilio, conosciuto per le sue Georgiche, ebbe a scrivere “Farai anche riposare i mietuti novali ad anni alterni e il campo inerte indurire nella quiete” e “anche così mutando coltura il terreno riposa né la terra, pur non arata, manca di riconoscenza”.

Già in epoca antica, quindi, si capì che le medesime colture non dovevano tornare in tempi ravvicinati sullo stesso appezzamento, pena la perdita di produzione. Per questo motivo si diffusero le cosiddette rotazioni con l’obiettivo di accrescere il livello produttivo medio nel corso degli anni. In particolare, erano adottati schemi biennali o triennali. Nei primi, alla coltivazione di un cereale (per esempio grano) seguiva un periodo di riposo del terreno che era lasciato a pascolo; nei secondi, invece, alla coltura di cereali succedeva una leguminosa e, quindi, un periodo di riposo.

Le rotazioni lavorate

Il sistema romano, incentrato sui cereali – non a caso è conosciuto anche come sistema a coltura di granaglie – è perdurato pressoché intatto sino alla fine del Settecento quando iniziò a farsi strada l’idea di sostituire il periodo di riposo del terreno (pascolo) con lavorazioni meccaniche, all’epoca eseguite manualmente o con l’aiuto di animali. Si diffuse così il sistema cosiddetto all’inglese, passato alla storia anche come rotazione di Norfolk, nel quale la rotazione si sviluppava nell’arco di un quadriennio e prevedeva una scansione delle colture del tipo: rapa – orzo – trifoglio – frumento. Al termine del quarto anno, la rotazione ricominciava dall’inizio e veniva nuovamente coltivata la rapa (a dire la verità ben presto sostituita dal mais).

Le “impressioni” sull’utilità delle rotazioni furono confermate da veri e propri studi scientifici che dimostrarono senza ombra di dubbio i notevoli benefici delle rotazioni nella gestione dell’azienda agraria. La fertilità del terreno venne compresa in maggiore dettaglio e si iniziò a considerarla un vero e proprio patrimonio da conservare per consentire anche ai posteri di godere dei frutti della terra.

L’oblio delle rotazioni e l’agricoltura bio

Ma se è noto sin dall’antichità che le rotazioni sono così importanti per il terreno, perché se attraversiamo, per esempio, la pianura padana osserviamo grandi monosuccessioni di mais? La risposta, purtroppo, è da ricercare nelle difficoltà economiche delle aziende agricole che sono state costrette a “dimenticare” i vantaggi delle rotazioni e ad orientarsi verso le poche colture capaci di offrire un reddito sufficiente. Tutto questo accentuato dall’emergere, a partire da alcuni decenni or sono, dell’uso intensivo di fertilizzanti di sintesi i quali sembravano – e sembrano – poter sopperire alle mancanze di una buona gestione del terreno.

In tempi recenti, però, con l’affermarsi della cosiddetta agricoltura biologica (organica), è tornata alla ribalta l’importanza di un buon piano di rotazione. Anzi, proprio la normativa di settore impone alle aziende agricole certificate di seguire piani di rotazione che includono specie leguminose. Questo perché dopo anni di colture ripetute (monosuccessioni) ci si è accorti che la monocoltura stava impoverendo i terreni e, in particolare, il tenore di sostanza organica presente nei suoli stava scendendo sotto il livello di guardia.

Organizziamo una buona rotazione

Affinché la rotazione sia efficace, all’interno di questa ogni pianta deve rivestire un ruolo ben preciso. In particolare, si distinguono le colture depauperanti, quelle miglioratrici e quelle preparatrici. Conoscere le caratteristiche di ogni specie che andiamo a coltivare è fondamentale per ottenere un buon risultato. Non è infatti consigliabile coltivare ortaggi in successione casuale poiché si rischia, in primo luogo, di non avere risultati apprezzabili e, in secondo luogo, di agevolare l’affermarsi di patogeni e parassiti che potrebbero portare a bruschi cali di produzione (e allo scoraggiamento dell’orticoltore amatoriale).

Vediamo quindi nel dettaglio le tipologie di piante da porre in rotazione.

La rotazione si apre con le colture preparatrici, ossia quelle in grado di migliorare l’ambiente di crescita delle piante non tanto per le proprie caratteristiche intrinseche, quanto piuttosto per le lavorazioni connesse alla loro coltivazione. Queste ultime sono da ricondurre prevalentemente alle lavorazioni “profonde” e alle letamazioni abbondanti. Esempio di colture miglioratrici sono la patata, il pomodoro e il mais.

Alle colture preparatrici seguono quelle miglioratrici che, come è facilmente intuibile, concorrono a migliorare le condizioni generali del terreno. La mente corre subito – e con ragione – alle leguminose, specie capaci di arricchire il terreno di azoto grazie alla sua fissazione ad opera di batteri che vivono in simbiosi nelle loro radici. Anche i prati, tuttavia, possono essere inseriti all’interno del gruppo delle piante miglioratrici.

Infine, la rotazione di chiude con le specie depauperanti, conosciute anche come sfruttanti: sono tutte quelle che lasciano il terreno in condizioni “peggiori” rispetto a quelle dell’inizio della coltivazione. In genere, si tratta di colture molto esigenti in termini di risorse nutritive. Nelle rotazioni agricole è un ruolo ricoperto da grandi colture come frumento, orzo e riso.

I vantaggi delle rotazioni

Le rotazioni giocano un ruolo di rilievo sulle proprietà fisiche, chimiche e biologiche del terreno. Per quanto riguarda le proprietà fisiche, come già ricordato, le rotazioni si aprono con una coltura di rinnovo (preparatrice) che richiede lavorazioni meccaniche capaci di migliorare la struttura del suolo, a patto che siano eseguite nel modo corretto. In particolare, occorre evitare di eseguire lavorazioni eccessivamente profonde e ripetute che porterebbero alla mineralizzazione dell’humus e della sostanza organica in generale; inoltre è bene eseguire arature e vangature con il terreno in tempera: l’umidità del suolo deve essere sufficiente da farlo apparire morbido e malleabile, ma non deve essere eccessiva da provocare la formazione di lisciature. In caso contrario, si assisterà a una destrutturazione del terreno che porterà difficoltà all’approfondimento radicale e all’approvvigionamento di ossigeno e sostanze nutritive da parte delle piante.

Le rotazioni sono vantaggiose anche dal punto di vista delle dotazioni chimiche del suolo. Le diverse specie coltivate hanno esigenze nutrizionali molto diversificate. La coltura ripetuta può causare il depauperamento di alcuni elementi nutritivi che sono richiesti con particolare intensità da parte della coltura in monosuccessione. Per esempio può succedere che questo depauperamento sia tanto pronunciato da portare a variazioni sensibili del livello di pH del suolo; altre colture, invece, producono abbondanti residui che, lasciati sul terreno, stimolano eccessivamente l’attività della microflora e della microfauna tellurica, tanto da provocare la riduzione dell’azoto disponibile per le colture (utilizzato dai microrganismi per la loro crescita). Ancora, sempre dal punto di vista chimico, sono noti da tempo i fenomeni di allopatia per i quali la crescita di alcune piante è inibita dalla dispersione nel terreno di sostanze prodotte da colture precedenti.

La coltura ripetuta, infine, porta a squilibri molto profondi per quanto concerne la composizione delle popolazioni fungine e batteriche presenti nel suolo: gli azotofissatori simbionti e non simbionti, nonché gli organismi che entrano in gioco nella degradazione della sostanza organica, sono i più colpiti dalla monosuccessione. Non solo: la monocoltura seleziona erbe infestanti, patogeni e parassiti. Si pensi a tutti gli organismi che vivono negli apparati radicali delle specie coltivate, come i nematodi, e che trovano maggiori possibilità di diffusione quando la coltura si ripete per più anni consecutivi. Lo stesso vale per le malerbe che si “specializzano” se la coltura è sempre la stessa: quando invece si adottano colture diverse, che richiedono lavorazioni diverse e che insistono in tempi diversi sul terreno, vi è una maggiore competizione verso le infestanti che non sono più libere di svilupparsi indisturbate. Esistono poi colture “rinettanti” che riescono a contenere le malerbe grazie alle lavorazioni che richiedono (per esempio le sarchiature meccaniche ripetute) oppure per la loro capacità di “soffocare” le infestanti grazie a una vegetazione fitta (per esempio le patate).

Consigli pratici per una rotazione di successo

Iniziamo con il dire che eseguire una rotazione non significa mettere a coltura tutto l’appezzamento di cui si dispone con la medesima specie. Altrimenti faremmo indigestioni di pomodori quest’anno e l’anno prossimo saremmo costretti a prepararci grandi terrine di lattuga! Gli effetti benefici della rotazione si avvertono anche su piccola scala: è sufficiente suddividere il nostro orto in quattro o cinque aiuole e coltivarne ciascuna con una specie diversa.

Anzi, ciò che è veramente importante è evitare di ripetere la coltivazione di specie che appartengono alla medesima famiglia botanica. Alcuni esempi: alla famiglia delle solanacee appartengono ortaggi molto diffusi come melanzana, pomodoro, peperone, patata, mentre a quella delle chenopodiacee appartengono bietole, barbabietole e spinaci. Le liliacee comprendono aglio, cipolla e porro, mentre le ombrellifere sono la famiglia di carote, finocchi, prezzemolo e sedano (nonché sedano rapa). La famiglia delle composite ospita indivia riccia, indivia scarola, radicchi e lattughe mentre la grande famiglia delle crucifere comprende specie diffuse come cavolfiore, cavolo broccolo, cavolo cappuccio, cavolo verza, cavolino di Bruxelles, cime di rapa e cavolo nero, ma anche specie apparentemente distanti come rapa, ravanello, rucola e rafano. Se tutti conoscono la famiglia delle leguminose (piselli, fagioli, ceci, fagiolini e fave), meno nota è quella delle cucurbitacee che ospita ortaggi molto diffusi come zucca, zucchina e cetriolo ma anche specie meno convenzionali come il cocomero.

Ogni famiglia e ogni ortaggio hanno le proprie peculiarità: ciascuno presenta asportazioni differenti di elementi nutritivi ed esplora il terreno in modo diverso. La rotazione permette quindi di utilizzare al meglio l’orizzonte del suolo senza sfruttare in modo eccessivo le sue risorse. Per esempio, con riferimento all’azoto – l’elemento della nutrizione asportato in maggiore quantità – le colture ortive che ne hanno maggiori esigenze sono cavolo cappuccio, cavolo verza, finocchio e sedano; seguono poi altre crucifere (cavolfiore e broccolo), le solanacee (pomodoro, peperone, patata e melanzana) nonché porro e zucchino. Le leguminose, invece, hanno esigenze molto basse: è infatti risaputo che “fissano” azoto atmosferico grazie alla simbiosi con alcuni microorganismi. Attenzione però, perché, se la leguminosa trova sufficiente azoto nel terreno non si instaura il rapporto simbiotico che, è bene ricordarlo, costituisce uno sforzo energetico per la pianta: ecco perché è controproducente fornire troppo azoto – in forma organica o minerale – se dobbiamo coltivare legumi.

Un altro suggerimento per una coltivazione di successo è quello di mettere in pratica colture sarchiate. In campo aperto, tra le grandi colture, quelle sarchiate sono, per esempio, il mais che viene seminato a file: con apposite macchine le malerbe che si sviluppano nell’interfila vengono estirpate meccanicamente. Lo stesso possiamo replicare nel piccolo del nostro orto: certo non useremo potenti trattori e macchine sarchiatrici studiate ad hoc per il nostro ortaggio preferito, ma possiamo ovviare utilizzando una zappa. Seminando tutti gli ortaggi a file ed evitando le semine a spaglio, quindi, potremo eliminare le infestanti con un minimo sforzo, avendo la certezza di ridurre nel tempo il livello di infestazione.

Esiste poi un’altra linea guida per le rotazioni, quella relativa alle indicazioni fornite da chi segue i principi dell’agricoltura biodinamica. In questo caso, la rotazione si basa sulle caratteristiche fisiche degli ortaggi che, in linea di principio, coincidono con la parte che viene consumata. Si distinguono così ortaggi da radice (aglio, carote, cipolla, patate, porro, ravanelli, sedano), ortaggi da foglia (cavoli, finocchi, indivia, lattuga, radicchio), ortaggi da fiore (carciofi, asparagi, broccoli, cavolfiori) e ortaggi da frutta (cetrioli, fagioli, fave, melanzane, peperoni, pomodori, piselli, zucca e zucchina). L’agricoltura biodinamica – che dispone di un poderoso supporto filosofico – associa poi ogni gruppo a un elemento (terra per gli ortaggi da radice, acqua per quelli da foglia, aria per quelli da fiore e fuoco per quelli da frutto). Questo ovviamente ha poco a che fare con le conoscenze tecnico-scientifiche che informano l’agricoltura biologica, ma è comunque da considerare un modo semplice e intuitivo per mettere in atto un avvicendamento delle piante coltivate. Non sarà perfetto, ma aiuta a preservare il suolo e a coltivare la biodiversità!

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Luca Masotto By


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