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GIARDINAGGIO

Piante acidofile. Quali sono e come coltivarle

 

Non solo le classiche camelie, azalee, ortensie e rododendri. La grande famiglia di piante acidofile comprende molte specie ampiamente utilizzate nei nostri giardini, alcune insospettabili. Tra queste, per esempio, ricordiamolo l’acero giapponese, la betulla e il liquidambar, ma anche la mimosa, il corbezzolo, le magnolie, la gardenia e – sempre più diffuso negli ultimi anni per via delle proprietà antiossidanti – il mirtillo. Per chi ama le piante erbacee, ricordiamo che specie come clivia, calla e giglio sono annoverate fra le acidofile.

Cosa si intende per pianta acidofila

 In linea di massima possiamo dire che una pianta acidofila è una specie che non si adatta a un suolo qualsiasi: per crescere sana e offrire la massima valenza ornamentale, infatti, queste particolari piante devono essere messe a dimora in un terreno acido ossia con un pH inferiore a 7. Questo è un bel problema se consideriamo che molti terreni italiani sono tendenzialmente neutri se non addirittura subalcalini. Tanto più il terreno lontano dalle condizioni di acidità e tanto meno molti elementi nutritivi come ferro, rame e zinco possono essere assimilati dalle piante.

Occorre quindi correre ai ripari, pena piante ingiallite, poco vigorose, decisamente bruttine. 

Tre accorgimenti per coltivare piante acidofile di successo

In primo luogo, dobbiamo assicurarci di fornire un substrato di crescita acido, condizione molto semplice da assicurare se coltiviamo le piante in contenitore. Sul terrazzo, infatti, le vasche potranno essere riempite con terricci miscelati con torbe in grado di abbassare la reazione del suolo sino al pH desiderato.

In secondo luogo, possiamo agire sull’irrigazione. Molto spesso, infatti, l’acqua di irrigazione, soprattutto in alcune zone d’Italia, è decisamente alcalina. A livello empirico, ce ne rendiamo conto facilmente perché nei pressi degli ugelli si forma una leggera patina biancastra. In questi casi è opportuno alleggerire l’acqua di irrigazione introducendo appositi acidificanti oppure integrando l’irrigazione tradizionale con acqua di pioggia, magari derivante da vasche di recupero.

La terza possibilità, probabilmente la più semplice da mettere in atto, è costituita da un attento piano di concimazione da realizzarsi con prodotti appositamente studiati. Si tratta di fertilizzanti che contengono agenti chelanti, ossia particolari molecole che trattengono gli elementi della nutrizione di cui necessitano le acidofile. Queste molecole rilasciano gradualmente i nutrienti in modo che le radici possano assorbirli nonostante l’ambiente “ostile”. Si tratta di un accorgimento molto efficace che, se praticato con costanza, può rendere pressoché superflue le attenzioni riservate all’irrigazione e al terriccio. A patto, ovviamente, di non ostinarsi a mettere a dimora le camelie in terreni prettamente calcarei!

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Luca Masotto By


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